La destituzione di Mussolini non rappresentò, malgrado le speranze degli antifascisti, il preludio ad una nuova stagione politica.
Riferendosi al Biellese orientale (ma riteniamo che il giudizio possa essere esteso a tutto il circondario) Claudio Dellavalle ha affermato che «la caduta del fascismo non segna […] un salto qualitativo e quantitativo nell’attività dei partiti antifascisti», aggiungendo che «non ci si sottrae all’impressione che la caduta del regime abbia lasciato un vuoto che le forze antifasciste non sono in grado di occupare e nel quale il governo Badoglio trova larghi margini di manovra».
Emblematica della situazione di immobilismo che caratterizza i quarantacinque giorni precedenti l’annuncio dell’armistizio è la mancata sostituzione dei funzionari dell’amministrazione pubblica nominati dal governo fascista, «contro i quali – hanno precisato Anello Poma e Gianni Perona – risultavano inefficaci le sollecitazioni per un più deciso intervento delle nuove autorità»: il prefetto di Vercelli Giuseppe Murino, in carica dalla metà di giugno del 1943, respinge sistematicamente le dimissioni di coloro che intendono presentarle, imitato dal suo successore, il commissario Stefano Mastrogiacomo, che gli subentra nella seconda metà di agosto.
Il crollo del fascismo comporta comunque un cambiamento nelle abitudini quotidiane degli italiani e l’abbandono di quelle consuetudini che sono state introdotte durante il Ventennio (ad esempio l’obbligo di usare il "voi" nei rapporti interpersonali o il divieto di esprimersi in dialetto).
Un interessante articolo pubblicato su "il Biellese" del 27 luglio, dal titolo "Come un uomo qualunque ha vissuto la giornata di lunedì", coglie da una diversa prospettiva le reazioni e i commenti dei biellesi nelle ore immediatamente successive all’annuncio delle dimissioni dell’ex Duce.
Girovagando per le vie di Biella la mattina del 26 luglio, l’anonimo autore dell’articolo ha modo di constatare l’aria di festa che si respira in ogni dove, il sollievo per la fine di un’oppressione durata troppo tempo, il ripudio dei segni e dei simboli del caduto regime: emblematica in tal senso è l’immagine della donna che, in precario equilibrio su un trespolo, cerca di cancellare da un muro l’effigie della testa di Mussolini staccando l’intonaco con le unghie.
Nei giorni seguenti ai Vigili del Fuoco è affidato l’incarico di rimuovere tutte le insegne e le scritte fasciste presenti in città; tuttavia, scrive "il Biellese" del 30 luglio, «parecchi cittadini, tra cui qualche industriale, aveva già provveduto di iniziativa propria a fare tinteggiare i muri di cinta dei loro stabilimenti e delle loro proprietà».
Proseguendo nel suo giro, il cronista si imbatte in «quattro olle di salami e […] mezza dozzina di ruote di formaggio che passeggiarono il Corso. Fu soltanto la documentazione che accanto a chi tirava la cinghia c’era chi aveva la pancia piena».
Via Umberto [l'attuale via Italia] è popolata di persone festanti, con facce «distese, spianate, sorridenti», in un tripudio di bandiere tricolori: «"Dumse dal ti" – si dicevan taluni che prima d’allora non s’eran mai visti – siamo finalmente liberi . . . A me è toccato l’abbraccio di un buon operaio. Mi vide all’angolo dei giardini, mi venne […] incontro e mi abbracciò con tutta l’effusione possibile […] Ed intanto mi ripeteva: "j’ù sempe dilo mi . . ."».
Uno dei protagonisti della giornata è sicuramente il vino «che, da quando mondo è mondo, dicono che letifichi il cuor dell’uomo. E fu la nota più saliente del pomeriggio, da una certa ora in giù. Dalle cantine, piene come nei dì di fiera ai bei tempi, uscivan, assieme all’odor di vino, canti a distesa».
Alle libagioni partecipano anche i militari presenti in città, come quelli incontrati dall’autore nei pressi della sua abitazione, «bei ragazzoni che, nel loro ufficio di piantone, decoravano splendidamente l’ambiente. Ma la giornata lunga e l’arsura, quel pane, al rancio, non voleva proprio andar giù così asciutto. – Ca dla – fa uno di loro in schietto gergo torinese ad una signora che rientrava – l’avria nen un poc d’inciostr anche par mi? Inutile dire che furono subito accontentati. E i fiaschi passarono di mano in mano…».
In quei momenti nessuno pare dare molta importanza alle parole di Badoglio, alla guerra che continua, alla sempre più minacciosa presenza tedesca in Italia: «Un popolo gioiva […] Gioia per la fine di uno stato di cose insopportabili ormai […] decoro per quell’amor di patria che finalmente, dopo anni ed anni di imposture, fioriva sincero dal cuore di tutti. E com’era bello su tutto e su tutti il garrire dei tricolori dai balconi e dalle finestre».