DON FRANCESCO CABRIO

(Articolo pubblicato su La Nuova Provincia di Biella del 16.11.2011)

 

C’è un monumento nei pressi dell’incrocio tra la strada provinciale che da Zubiena conduce a Ivrea e quella che porta al paese di Torrazzo: si tratta di una costruzione semplice, costituita da un muro di blocchi di pietra delimitato da due colonne, anch’esse in pietra, al cui centro sta una lapide di granito che riporta questa incisione: "Qui cadde mitragliato / da cieco furore di mano sacrilega / don Francesco Cabrio / neo prevosto di Torrazzo / immolando le primizie del suo monastero / a conforto e salvezza dei suoi figli/ vittima di barbara guerra fratricida".

 

Il monumento in questione sorge sul punto esatto in cui, il 15 novembre 1944, morì don Francesco Cabrio, parroco trentunenne di Torrazzo, dopo essere stato colpito da una raffica di mitra sparatagli alle spalle da un ufficiale fascista della divisione Littorio.

 

 

Chi è don Francesco Cabrio?

 

Nato a Salussola il 4 gennaio 1913, dopo la morte della mamma (avvenuta quando il piccolo Francesco ha solo tre anni) ha vissuto in paese con il padre, la sorella, il fratello minore e la nonna paterna fino all’ottobre del 1926, data in cui ha fatto il suo ingresso nel Seminario di Biella.

 

Nel giugno del 1938 riceve l’ordinazione sacerdotale dal vescovo Carlo Rossi, celebrando poi la sua prima Messa nella cappella della Madonna del Santuario di Oropa.

 

Dopo essere stato vice parroco a Cossato (fino al 1941) e a Mongrando, assume la guida della parrocchia di Torrazzo all’inizio dell’ottobre del 1944.

 

 

L’autunno di quell’anno rappresenta un momento di incertezza nel campo del movimento di resistenza che fin dall’anno precedente si è costituito sul territorio biellese: dopo le illusioni estive di una ormai prossima insurrezione generale, le formazioni partigiane operanti nel Biellese occidentale (organizzate nella V divisione Garibaldi "Piemonte") si trovano di fronte a serie difficoltà militari e logistiche, che hanno un effetto deprimente sul morale e diminuiscono la capacità offensiva.

 

Sul fronte opposto i tedeschi (che hanno occupato Biella e i punti chiave del territorio alla fine del settembre ’43) stanno diffondendo una sottile propaganda radiofonica volta ad insinuare dubbi e sospetti nel campo partigiano e a presentare i vantaggi derivanti da una possibile tregua a scapito dei fascisti (si tratta del progetto di radio Baita, emittente che si presenta come organo legato alla Resistenza ma che in realtà trasmette dal comando SS di Villa Schneider); per favorire questo tentativo di accordo, i tedeschi hanno quindi deciso di sospendere qualsiasi attività di rastrellamento, limitandosi a reagire solo se attaccati.

 

Diversa è invece la posizione del capo della provincia Michele Morsero, che insiste perché si compia contro le formazioni garibaldine un’azione decisiva.

 

 

A novembre giungono nel Biellese alcuni reparti appartenenti alla divisione Littorio (unità dell’esercito della Repubblica sociale italiana), da poche settimane rientrata in Italia dopo l’addestramento in Germania.    

 

Il 15 novembre 1944 la Serra biellese è interessata da un’azione di rastrellamento condotta dai militi del battaglione Monte Rosa (della divisione Littorio appunto): l’obiettivo è colpire a fondo i partigiani della 75ª brigata operanti nella zona.

 

L’avanzata verso l’area di Zubiena, Torrazzo e Sala viene però ostacolata dalle azioni di disturbo messe in atto dai garibaldini, che inducono i repubblicani a fermarsi nei pressi di Zubiena.

 

Nel corso del rastrellamento i militi del Monte Rosa arrestano due giovani di Torrazzo: il timore che possano essere trattenuti come ostaggi o, peggio, fucilati per rappresaglia, induce don Cabrio a scendere lungo la strada che si congiunge con la provinciale per Ivrea per raggiungere il posto di comando del reparto fascista e trattare il rilascio dei due giovani.

 

 

Quello che avviene nel primo pomeriggio del 15 novembre è stato descritto da don Antonio Ferraris (sulla base della testimonianza di don Ermenegildo Anselmino) nel suo libro dedicato all’opera dei sacerdoti biellesi durante la Resistenza: «All’incrocio della strada di Torrazzo con la provinciale di Ivrea, [don Cabrio] incontrò la formazione di militi della Repubblica Sociale che tratteneva quali ostaggi i due giovani di Torrazzo e stava per avviarsi verso Zubiena. Il Don Cabrio premuroso, zelante, entrò in colloquio con il Comandante, un certo ufficiale di cui, per riguardo cristiano, si tace qui il nome, della 1ª compagnia, 2° plotone div. Littorio, Batt. Monte Rosa. Sorretto dal suo grande cuore sperava certo di trovare eguale cuore dall’altra parte, o almeno un uomo di onore; trovò invece, purtroppo, in quell’ambiente di esaltazione degli spiriti, di profonda incomprensione, un “povero” uomo che gli sparò con il mitra a tradimento nella schiena quando egli si voltò per ritornare deluso a casa. La scena efferata fu osservata da quelli che, impotenti, erano trattenuti sull’autocarro in partenza per Zubiena. Don Francesco Cabrio fu colpito da almeno una decina di proiettili nelle cosce e nell’addome. Barcollò, proseguì di pochi passi spostandosi verso il ciglio destro della strada e si accasciò […] Fu trovato morto dissanguato».

 

L’ufficiale fascista proibisce infatti che al giovane sacerdote sia prestato soccorso; informate dell’accaduto dall’ufficiale medico del reparto repubblicano, alcune donne di Torrazzo si recano sul luogo dove giace il corpo di don Cabrio, lo adagiano su una scala a pioli adattata a barella e lo portano in paese.

 

I funerali sono celebrati a Torrazzo il 18 novembre e a Salussola il 22 dello stesso mese.

 

 

Nessun accenno al tragico evento appare sulle pagine dell’organo di stampa fascista "Il Lavoro Biellese", mentre il bisettimanale cattolico (che peraltro esce solo il venerdì) "il Biellese" è costretto a censurare l’accaduto e solo in seguito (sui numeri del 24 novembre e del 1 dicembre 1944) riporterà il resoconto delle esequie di don Cabrio, sottolineando peraltro l’enorme partecipazione popolare che le ha caratterizzate.

 

A proposito della funzione tenutasi il 22 novembre a Salussola, il giornale diretto da Germano Caselli parla di «espressione imponente di un profondo lutto cittadino, [… di] una nuova dimostrazione di quella stima e di quell’affetto che qui universalmente godeva. Erano presenti altri parroci del Comune, anche il Vicario di Cavaglià, l’Arciprete di S. Damiano, l’Arciprete di Roppolo e il Chierico Lacchio Oscar».

 

Alla Messa di trigesima celebrata a Torrazzo ogni famiglia del paese è rappresentata; partecipano anche le autorità locali, nelle persone del commissario prefettizio e del segretario comunale.

 

 

A perenne ricordo della figura di don Cabrio è decisa l’istituzione di una borsa di studio presso il Seminario di Biella, iniziativa che riscuote un unanime consenso nella comunità di Salussola: in meno di un mese viene raccolta la somma di circa 6300 Lire, come riportato su "il Biellese" del 15 dicembre 1944.

 

 

Mons. Carlo Rossi, vescovo di Biella, dalle pagine della Rivista Diocesana di novembre definisce don Cabrio «la nostra prima vittima sacerdotale».

 

Il presule biellese, che preferisce evitare qualsiasi riferimento alle responsabilità dei colpevoli, esprime il profondo dolore che ha colpito la comunità pastorale: «[…] tanti lutti abbiamo dovuto registrare. Ma quello che registriamo oggi è certamente più doloroso degli altri, perché deriva da una tragica, inspiegabile contingenza, da una violenza che non ci sembra possa trovare assolutamente nessuna giustificazione. Don Francesco Cabrio aveva 31 anni. Aveva fatto il suo ingresso a Torrazzo il giorno 8 ottobre […] nel pomeriggio del 15 novembre, per la strada da Torrazzo all’incrocio con la provinciale, dove s’era portato per compiere una missione squisitamente pastorale, trovò la sua tragica fine. Fu veramente vittima del dovere […] Tanti uomini muoiono, tanto sangue si versa ogni giorno, purtroppo ogni ora. Forse Dio non trova in ciò quanto possa valere come espiazione e soddisfazione per i mali del mondo; e raccoglie allora altre vittime, quelle che Egli vede pure e virtuose, in olocausto di propiziazione – le vittime innocenti. E tra le vittime innocenti il nostro Clero ha oggi un rappresentante. Possa la sua morte evitare tante altre morti, possa il suo sangue risparmiare tanto altro sangue fraterno! Quel sacrificio però resta per noi, sacerdoti, un richiamo alla grande parola di Gesù: Il buon Pastore deve esser pronto a dare la vita per il suo gregge. E resta per tutti un monito: sulle vie della prepotenza e dell’odio non si può costruire si può soltanto demolire, schiantare, rovinare: le cose, le vite, le idee».

 

 

L’ultimo aspetto della vicenda da prendere in esame è quello relativo al comportamento assunto dalle autorità fasciste di fronte all’assassinio di don Cabrio.

 

Il commissario di Pubblica Sicurezza di Biella, Di Guida, nella relazione inviata alla Questura repubblicana di Vercelli in data 23 novembre, otto giorni dopo il fatto, scrive che «in seguito al fermo di due giovani riformati di Sala da parte del Presidio Tedesco di Mongrando, il Prete di Sala si recò a detto presidio per mettere una buona parola per la eventuale scarcerazione dei due giovani. L’Ufficiale Tedesco rifiutò di aderire all’invito del Prete facendogli capire che i preti dovevano astenersi dal fare della politica che non fosse Chiesa. Appena il prete lasciava il Comando, l’ufficiale lo prese di mira con la pistola colpendolo alle gambe e proibì che portassero aiuto al ferito tanto che quest’ultimo morì dissanguato».

 

Il funzionario di polizia (che parla erroneamente di "Prete di Sala") addossa quindi la responsabilità dell’uccisione di don Cabrio ai tedeschi, aggiungendo che «questo atto ha creato un profondo odio verso l’autore del ferimento quanto per i tedeschi in generale, specie nei ceti cattolici»: ma in un fonogramma cifrato datato 18 novembre lo stesso commissario ha indicato come responsabili i militi appartenenti al battaglione Monte Rosa.

 

 

Per comprendere il clima di odio in cui si consuma un gesto così efferato contro una persona inerme, per di più un sacerdote, è necessario sottolineare come i rapporti tra Chiesa e Repubblica sociale non siano certi idilliaci.

 

Il Vaticano non ha infatti riconosciuto lo Stato di Mussolini e l’atteggiamento di gran parte del clero (soprattutto dei parroci che si trovano nei territori in cui operano le formazioni partigiane) è di indifferenza se non di malcelata ostilità nei confronti del fascismo repubblicano.

 

 

Il Biellese non fa eccezione, come testimoniano i frequenti articoli polemici e anticlericali pubblicati sull’organo fascista "Il Lavoro Biellese" e le relazioni sull’atteggiamento del clero inviate dal questore di Vercelli al capo della provincia.

 

Don Cabrio è probabilmente vittima del rancore verso la Chiesa che alberga nell'animo di molti fascisti: il suo sacrificio rimane uno splendido esempio di zelo sacerdotale e di amore verso il prossimo che merita tuttora di essere ricordato ed esaltato e la sua figura può a buon diritto essere accostata a tutti i caduti biellesi per la libertà.

 

 

Galleria Fotografica

 

 

FONTI

 

  • Don Francesco Cabrio sacerdote martire, sito del Museo Laboratorio dell’Oro e della pietra di Salussola
  • Centro Studi per la storia della Resistenza nel Biellese, Il movimento di liberazione nel Biellese, Società per azioni tipografica editoriale, Biella 1957
  • Ferraris Antonio, Sacerdoti nella bufera: 1943 – 1945: a don Oreste Fontanella e a don Francesco Cabrio, Ed. Dialoghi, Biella 2006
  • Poma Anello, Perona Gianni, La Resistenza nel Biellese, Guanda, Parma 1972
  • Roccia Domenico, Il Giellismo vercellese, La sesia, Vercelli 1949
  • Rivista Diocesana biellese, novembre 1944
  • Il Lavoro Biellese, periodico della federazione fascista repubblicana di Vercelli (per la zona del Biellese)
  • il Biellese, bisettimanale cattolico