IL RIFUGIO "ALFREDO RIVETTI" (1935)

(Articolo pubblicato su La Nuova Provincia di Biella del 14.02.2015)

 

«A Londra – scriveva nell’agosto del 1863 Quintino Sella all’amico Bartolomeo Gastaldi, con il quale aveva in quei giorni affrontato l’ascensione sul Monvisosi è fatto un Club Alpino, cioè di persone che spendono qualche settimana dell’anno nel salire le Alpi, le nostre Alpi! Ivi si hanno tutti i libri e le memorie desiderabili; ivi strumenti tra di loro paragonati con cui si possono fare sulle nostre cime osservazioni comparabili; ivi si leggono le descrizioni di ogni salita; ivi si conviene per parlare della bellezza incomparabile dei nostri monti e per ragionare sulle osservazioni scientifiche che furono fatte o sono a farsi;[…] ivi si ha insomma potentissimo incentivo non solo al tentare nuove salite, al superare difficoltà non ancora vinte, ma all’osservare quei fatti di cui la scienza ancora difetti. […] Ora non si potrebbe fare alcunchè di simile da noi? Io crederei di sì» ("C.A.I., 1863-1963: i cento anni del Club alpino italiano").

 

Qualche mese dopo (ottobre 1863) l’auspicio dell’uomo politico (nonché studioso) biellese trovava realizzazione: in una sala del Castello del Valentino a Torino ebbe luogo infatti la prima adunanza del Club Alpino (alla cui denominazione fu aggiunto quattro anni dopo l’appellativo "Italiano"), al quale avevano dato la propria adesione circa 200 «insigni uomini di ogni parte d’Italia».

 

Nell’occasione furono approvati gli Statuti e assegnate le cariche sociali; il primo presidente, eletto dai nove direttori nominati dall’assemblea, fu il barone Fernando di San Martino.

 

 

La sezione di Biella del C.A.I. (con sede in via dell’Ospedale n. 8) vide ufficialmente la luce il 6 gennaio 1873.

 

Il marchese Tommaso Ferrero della Marmora fu eletto presidente effettivo, Giuseppe Corona segretario, mentre Quintino Sella fu insignito della carica di presidente onorario.

 

Tra gli obiettivi che la sezione si prefiggeva, oltre ad «essere la prima per numero di soci», figuravano «i progetti d’impianto di Osservatorii meteorologici a Graglia ed Oropa, di riattamento della strada della Mologna, e la compilazione della guida biellese» ("Bollettino del Club Alpino Italiano 1873") e, non meno importante, la realizzazione di capanne e rifugi: «Già fin dal 1873 – ricordava Mario Borrione sull’Annuario C.A.I. 1953 – ad un anno appena dalla costituzione della Sezione, troviamo nei vecchi verbali la prima proposta di costruzione di un ricovero alla Piana del Ponte. Oltre ai 5 rifugi attualmente in funzione ed in perfetta efficienza, altri ne ha costruiti che oggi non esistono più e molti progetti sono stati abbozzati ma non realizzati per vari motivi. La Sezione ha inoltre concorso finanziariamente alla costruzione di altri rifugi: Capanna Margherita, Gnifetti, ecc.».

 

 

Attualmente la sezione biellese del C.A.I. è proprietaria di una baita di appoggio (a Bagneri) e di quattro rifugi alpini: "Quintino Sella" al Felik (Valle d’Aosta), "Vittorio Sella" al Lauson (Valle d’Aosta), "Delfo e Agostino Coda" ai Carisey (Alta Valle Elvo) e infine "Alfredo Rivetti" alla Mologna Grande (Alta Valle Cervo): alla storia di quest’ultimo sono dedicate le righe che seguono.

 

 

Nel 1909 la direzione del C.A.I. di Biella, presieduta da Maurizio Sella, decise lo stanziamento di Lire 500 «quale primo contributo per la costruzione di un rifugio, sia pur modesto, nei pressi della Mologna Grande, per valorizzare un angolo delle nostre montagne a torto trascurato» ("Annuario C.A.I. 1945"); un ulteriore impulso in tale direzione venne dalla tragica morte di due alpinisti biellesi, Alfredo Rivetti e Giovanni Edelmann, travolti da una valanga poche centinaia di metri sotto il Colle della Mologna Grande (24 dicembre 1911).

 

Il progetto fu poi rallentato dallo scoppio del primo conflitto mondiale e si dovette attendere fino al 1919 prima di poter passare alla fase esecutiva, con la nomina di un’apposita commissione e soprattutto con il provvidenziale intervento dei fratelli Ermanno e Guido Rivetti, i quali si assunsero l’onere delle spese di costruzione.

 

Il 3 luglio 1921 il rifugio "Alfredo Rivetti", progettato dall’ing. Giacomo Demontel e appaltato all’impresa Jon Silvino di Piedicavallo, poté finalmente essere inaugurato: «costruito in muratura su due piani, rivestito in legno», era in grado di ospitare almeno trenta persone.

 

La montagna era però destinata a sopraffare l’opera dell’uomo.

 

Nel 1925 il rifugio fu infatti investito per la prima volta da una valanga (staccatasi dalla Punta dei Tre Vescovi) e parzialmente distrutto; immediatamente si provvide a ricostruire la parte danneggiata, ergendo anche uno sbarramento contenitivo che nelle intenzioni avrebbe dovuto evitare il ripetersi di un tale devastante evento.

 

Nell’inverno del 1928, tuttavia, un’altra valanga si abbatté nuovamente sul rifugio, distruggendolo completamente: «[…] la scelta del luogo della costruzione, che a parer di esperti doveva essere sicura, non era stata felice» ("Annuario C.A.I. 1945").

 

Il presidente Filippo Poma, nell’annunciare al direttivo della sezione la dolorosa perdita, lanciò l’idea di una sottoscrizione per far risorgere il rifugio, contribuendo in prima persona con la somma di Lire 2.000.

 

I tempi erano tuttavia poco propizi: «Difficoltà tecniche e finanziarie fecero ritardare la ricostruzione; sorsero nel frattempo disparità di vedute sulla scelta del luogo e pareri diversi sulla opportunità di costruire il Rifugio sul versante biellese oppure al di là del Colle della Mologna Grande»; per dirimere la questione fu addirittura necessario ricorrere ad un referendum tra i soci, la cui maggioranza optò per il versante biellese.

 

Protagonista della ricostruzione del rifugio fu ancora la famiglia Rivetti, la quale si sobbarcò nuovamente l’onere delle spese; il progetto, curato dall’ing. Locchi di Torino e affidato ad un’impresa biellese, la Ronchetti e Bertinetti di Sordevolo, fu portato a compimento nella tarda estate del 1935, con una spesa complessiva che si aggirava intorno alle 70.000 Lire: «Il fabbricato – riferì "il Biellese"(30.08.1935) – è in due piani, misura m. 10,40x7,40 di lato per m. 9,30 di altezza e comprende a pian terreno due vani: sala di convegno e cucina. Al primo piano, cinque stanzette costituiscono un decoroso ambiente alberghiero. Al secondo è una sola spaziosa camerata capace di una trentina di posti […] Sorge in una splendida posizione, su un dosso dominante il rude, aspro vallone della Grande Mologna, un po’ a monte del rifugio distrutto».

 

 

L’inaugurazione, che ebbe luogo domenica 1 settembre, vide una robusta partecipazione di pubblico (almeno mille persone), composto per lo più dai soci del C.A.I. e della società "Pietro Micca", da semplici «simpatizzanti della montagna» provenienti anche dalla Val d’Aosta, e dagli iscritti all’Associazione Nazionale Alpini; tra le personalità presenti spiccavano i rappresentanti dell’amministrazione comunale di Biella, il podestà di Piedicavallo, il segretario del Fascio di Biella Walther Bragagnolo, oltre naturalmente al consiglio direttivo del C.A.I. biellese e ai membri della famiglia Rivetti.

 

La cerimonia ebbe inizio alle ore 10 con la Messa al campo officiata dal cappellano alpino don Arduino, cui fece seguito l’orazione di Gustavo Gaja, vice presidente del C.A.I. Biella, il quale rievocò la storia «delle non poche difficoltà incontrate dalla Sezione biellese nella costruzione di due rifugi e ringraziò calorosamente la famiglia Rivetti per il generosissimo aiuto dato in ambedue le contingenze» ("Il Popolo Biellese", 02.09.1935); prese poi la parola l’ospite d’onore, il presidente nazionale del C.A.I. nonché dell’Associazione Nazionale Alpini, Angelo Manaresi, il quale «tributò un plauso alla Sezione del Club Alpino di Biella per aver costruito un così bello ed utile monumento a ricordo degli scomparsi, elogiò l’alto spirito della nostra gente amante della montagna, pose a sua volta in rilievo la generosità della famiglia Rivetti […] e consegnò un artistico ricordo all’egr. Dr. Gaja a testimonianza della intelligente, tenace ed appassionata opera da lui dedicata a tutte le fasi relative alla costruzione del rifugio».

 

Dopo il saluto e il ringraziamento di Guido Alberto Rivetti, si passò all’inaugurazione del rifugio e al relativo brindisi; quindi i convenuti raggiunsero il colle della Mologna Grande, dove Manaresi rese omaggio alla lapide commemorativa dei Caduti del Battaglione Alpini "Cervino"; al ritorno, la comitiva s’inoltrò nel vallone in cui avevano trovato la morte Alfredo Rivetti e Giovanni Edelmann, deponendo un omaggio floreale presso la targa che ricordava il tragico evento.

 

Il pranzo al sacco consumato nelle vicinanze del Rifugio sancì la conclusione della memorabile giornata.

 

 

Il rifugio Rivetti è oggi differente da come si presentava nel 1935: nell’estate del 1952 fu infatti sottoposto a lavori di ampliamento che si conclusero nella primavera dell’anno successivo.

 

Prolungata di circa 3mt la lunghezza, la superficie totale è passata da 78 a 101m², ottenendo 4 posti in più nelle camerette e 16 nel dormitorio; il salone è stato ingrandito da 29 a 47,5m²; la cucina da 7,20 a 10m²; i servizi da 2,20 a 6,93m².

 

 

Galleria Fotografica

Le fotografie provengono dall'archivio Cesare Valerio, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella

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FONTI

 

  • C.A.I., 1863-1963: i cento anni del Club alpino italiano, Tamari, Milano-Bologna 1964
  • Bollettino del Club Alpino Italiano anno 1873
  • Annuario C.A.I. Biella 1945, 1953, 1954
  • il Biellese, bisettimanale cattolico
  • Il Popolo Biellese, bisettimanale del Fascio di Biella
  • sito web del C.A.I. sezione di Biella