TRACCE DI SANGUE SULLE PARETI

 

L’efferatezza che accompagnò l’uccisione dei venti partigiani del distaccamento "Zoppis" suscitò tra gli stessi fascisti dubbi sull’opportunità di simili azioni.

 

Il commissario di P.S. di Biella Di Guida, in un’informativa riservata al capo della provincia Morsero e al questore di Vercelli, si soffermò su alcuni particolari raccapriccianti:

 

«[…] verso le ore 5,30 detti partigiani a gruppi di tre, venivano tradotti in uno spazio adibito al gioco delle boccie, oltre la piazza del Municipio del paese, e fucilati. I relativi cadaveri venivano buttati nella sottostante riva del torrente Elvo e fino alle ore 14 […] non veniva permesso alla popolazione di avvicinarsi al luogo dell’esecuzione […] I cadaveri successivamente venivano raccolti e trasportati al Cimitero dalla popolazione la quale aveva occasione di notare che gli stessi presentavano delle mutilazioni (rotture di gambe, braccia, naso, ecc) che non sembrano prodotte da arma da fuoco. A tale proposito viene riferito che i partigiani durante la notte sarebbero stati oggetto di percosse e altre più gravi sevizie perché dopo la partenza del reparto sarebbero state rinvenute grosse macchie di sangue sulle pareti e anche sul soffitto della casa del fascio. Viene altresì riferito che sarebbe stata negata ai partigiani l’assistenza religiosa […] L’esecuzione dei 21 partigiani ha prodotto viva impressione tra la popolazione della zona e limitrofe soprattutto per il modo in cui sarebbero stati trattati i cadaveri […] Sono note le ripercussioni che tale fatto determinava, lo sciopero in segno di protesta tra gli stabilimenti della Vallata e di alcuni di questa Città».

 

Il commissario Di Guida informò inoltre che un reparto del battaglione "Pontida", altra unità fascista impiegata sul territorio biellese, si era recato a Salussola per avere «conferma di quanto qui accertato e più precisi dati di fatto».

 

 

Alla fine di maggio del 1945, due mesi e mezzo dopo l’eccidio, "il Biellese" riportò la notizia che le pareti della sala in cui i garibaldini erano stati tenuti prigionieri recavano «ancora le tracce sanguigne delle torture che precedettero il massacro».