UNA MOSTRA PRECEDUTA DALLE POLEMICHE

 

L’idea di allestire la Mostra di Disegno "Decennale della Liberazione" fu avanzata già nell’autunno del 1954 da Luciano Vernetti, segretario dell’Università popolare di Biella e esponente del Pci locale.

 

 

Intorno alla fine di ottobre Vernetti sottopose al sindaco Blotto Baldo la richiesta di poter usufruire, come sede della mostra (in programma dal 17 al 31 dicembre), dei locali precedentemente occupati dal Credito Italiano, informandolo altresì che all’iniziativa avevano già aderito almeno trenta artisti e che della giuria avrebbero fatto parte Mario Penelope, segretario nazionale del Sindacato Artisti, Raffaele De Grada, critico della RAI e direttore della rivista "Realismo", i pittori Pippo Pozzi e Pietro Morando, il critico d’arte Luciano Pistoi e un partigiano.

 

Una decina di giorni dopo il segretario dell’Università popolare tornò a rivolgersi al primo cittadino di Biella (e alla giunta comunale) al fine di «ottenere un contributo da parte di codesta Spett.le Amministrazione in considerazione delle ingenti spese richieste dall’allestimento della Mostra».

 

Data l’impossibilità a concedere l’uso dei locali dell’ex Credito Italiano a causa di lavori di ristrutturazione, il sindaco Blotto Baldo si disse pronto a chiedere al Provveditore agli Studi il nulla osta per usufruire della palestra "P. Micca" di via Arnulfo.

 

A questo punto la situazione andò complicandosi.

 

I giornali locali di area comunista ("Vita Nuova" e "Baita"), annunciando la prossima apertura dell’esposizione artistica, scrissero che «per interessamento del Sindaco [era] stata scelta a sede della Mostra l’ampia e centrale palestra di via Arnulfo», aggiungendo che «le spese per arredare la sala [sarebbero state] sostenute dal Comune» ("Vita Nuova", 09.12.1954).

 

In realtà, il Provveditore Toselli Colonna aveva negato l’uso della palestra, motivando la sua decisione con l’ordinanza ministeriale n.580 del 16 gennaio 1954 la quale prescriveva che «le palestre scolastiche [fossero] adoperate esclusivamente per le lezioni di educazione fisica e per le attività ginnico-sportive».

 

La reazione della stampa comunista fu durissima e per certi versi strumentale: il bersaglio degli attacchi (che trovarono spazio anche sulle colonne de "L’Unità") divenne infatti il prefetto di Vercelli De Bernart, accusato di aver negato egli stesso l’autorizzazione, in quanto la Mostra «era promossa da un organismo di parte: l’Università popolare», e di «volersi arrogare il diritto di stabilire quali organismi possano indire determinate manifestazioni».

 

La controversia finì per essere oggetto anche di un’interrogazione parlamentare presentata dai deputati del Pci Ortona, Boldrini e Baltaro, i quali chiesero di verificare la legittimità dell’azione del prefetto; De Bernart, relazionando al Ministero dell’Interno, confermò che la decisione era stata assunta dal Provveditore e aggiunse che, malgrado quanto affermato dai promotori, «l’iniziativa stessa non [aveva] scopi nazionali o patriottici, come si [voleva] far intendere, ma esclusivamente politici».

 

La polemica si esaurì senza ulteriori sussulti e la Mostra fu riproposta (con successo) nell’aprile del 1955.

 

(La documentazione relativa alla vicenda è conservata presso l’Archivio di Stato di Vercelli).