GLI EFFETTI DELLA CRISI DEL '29 NEL BIELLESE - 1

(Articolo pubblicato su La Nuova Provincia di Biella del 30.11.2011)

 

«Il crollo di Wall Street, il grande crollo, la crisi del 1929, la crisi degli anni trenta, la grande crisi, la grande depressione, sono tutte espressioni largamente usate per indicare un periodo della storia economica durante il quale si ridussero considerevolmente e su scala mondiale produzione, occupazione, redditi, salari, consumi, investimenti, risparmi ovvero tutte le grandezze economiche il cui andamento caratterizza di norma lo stato di progresso o di regresso dell’economia di un Paese»: in queste poche righe Luigi De Rosa ha sintetizzato, più di trent’anni fa, le conseguenze della crisi seguita al crollo della borsa di New York dell’ottobre 1929.

 

Vivendo ormai da tempo una fase di grave incertezza e di regressione che investe non solo il campo economico ma anche quello sociale e politico, è inevitabile che si facciano dei paragoni con ciò che accadde tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. 


Quello che noi, più modestamente, ci proponiamo qui è provare a dare risposta a queste domande: come fu vissuto quel periodo nel Biellese? Quale fu l’impatto della recessione mondiale sul tessuto industriale biellese? E quali i provvedimenti adottati dalle autorità locali?


 

Il crollo della Borsa di New York, registratosi tra venerdì 24 e martedì 29 ottobre 1929, ebbe poca risonanza sui giornali locali biellesi. 


Il bisettimanale fascista "Il Popolo Biellese", nel numero del 7 novembre, dedicò poche righe alle «condizioni disastrose della Borsa di New York»; qualche giorno dopo, nella consueta rassegna degli avvenimenti più salienti di politica internazionale, "il Biellese" pubblicò la notizia senza particolare risalto.

 

Il giornale cattolico riportò il commento pubblicato su "Il Sole" in cui, malgrado si sostenesse che «l’assestamento è ormai cosa assicurata», si sottolineavano gli appelli delle autorità finanziarie americane contro «l’errore di vendite irragionevoli di titoli rappresentativi delle più grandi aziende tuttavia [tuttora] in piena prosperità», sintomo questo di una situazione tutt’altro che ristabilita.


Il 15 novembre, sempre "il Biellese" accennava alla ripresa della industria italiana, con il miglioramento dei guadagni e l’aumento degli investimenti di capitale: in particolare, si dava conto dell’incremento dell’utile del comparto tessile, passato dal 4,50% del 1927 al 7,46% del 1928.

 


L’industria tessile biellese stava vivendo in quegli anni una fase delicata. 


A partire dal 1926 la nuova politica monetaria del regime fascista, caratterizzata dalla fissazione a "quota novanta" del valore di scambio della lira con la sterlina (1 Sterlina = 90 Lire), aveva portato ad una riduzione dei prezzi con conseguente calo della produzione e dell’occupazione; conseguenza di tale politica erano state le serie difficoltà incontrate dalle industrie tessili biellesi a piazzare i propri prodotti sul mercato estero.

 

Riduzione del tasso di sconto, diminuzione della pressione fiscale, facilitazioni governative nel campo dei trasporti, significativa riduzione dei salari: queste le diverse proposte per ovviare alla crisi discusse all’interno dell’Associazione laniera, che era presieduta dal biellese Cesare Bozzalla e nella quale un ruolo preminente avevano altri biellesi come Oreste Rivetti e Leone Garbaccio.

 

Nel maggio del 1927, ottenuto il tacito assenso del regime, si optò per la riduzione dei salari operai: «Venne deciso – ha scritto Teresio Gamaccio, attento studioso di queste vicende – che il sistema più conveniente da adottarsi era quello di non impostare il problema nazionalmente, perché si rischiava di mettere in imbarazzo i sindacati fascisti operai […] Olivetti [Gino, presidente della Federazione sindacale fascista dell’industria laniera] decise anche quale era il punto in cui si doveva iniziare l’attacco ai concordati con le organizzazioni operaie e cioè il Biellese, sia perché le paghe erano più alte che in altri centri lanieri, "sia per una maggior fiducia nella tenacia degli industriali biellesi". Questi, infatti, avevano già deliberatamente tenuto in sospeso, a partire dal 15 gennaio, la revisione quadrimestrale del caroviveri ed inoltre la maggior parte delle ditte aveva già provveduto a pesanti riduzioni, dietro il ricatto di licenziamenti e chiusura totale degli stabilimenti».

 

Il nuovo concordato laniero biellese sancì la riduzione del 9% del salario globale operaio.


L’intervento sui salari non risolse comunque la situazione: a fronte di una ripresa delle esportazioni si verificò il calo vistoso del valore dei manufatti lanieri venduti all’estero (dalle 5.329 Lire al quintale del 1925 si passò alle 3.090 del 1929), mentre sul fronte interno la mancanza di denaro da parte dei consumatori impedì la ripresa del mercato.

 


La situazione complessiva dell’Italia in quell’ultimo scorcio del 1929 non poteva certamente dirsi positiva; secondo i dati riportati da "il Biellese", alla fine di ottobre la disoccupazione nel paese aveva quasi raggiunto quota 300.000. 


Il bilancio demografico della città di Biella, raffrontato con quello dell’anno precedente, era tutt’altro che lusinghiero: se nei primi dieci mesi del 1928 la popolazione cittadina era aumentata di 2.113 unità, nello stesso periodo del 1929 si era avuto un incremento di sole 215 unità.


La causa principale di questa riduzione era da imputarsi all’attenuazione del fenomeno migratorio: nel 1928 erano state 3.390 le persone che si erano trasferite nella città laniera, solo 988 nel 1929.

 

Queste avvisaglie di un ulteriore inasprimento della crisi parevano però non preoccupare eccessivamente l’opinione pubblica biellese: l’attenzione era rivolta più ad argomenti di politica internazionale, ad esempio i rapporti con le altre nazioni europee, o di cronaca mondana, come le imminenti nozze tra il principe Umberto di Savoia e la principessa Maria Josè del Belgio.

 


Il 1930 si aprì con la notizia, pubblicata su "il Biellese", dell’apertura in città dell’Ufficio di Collocamento Operaio: tutti gli operai disoccupati erano obbligati ad iscriversi nelle sue liste e le ditte, a cui era fatto divieto di operare assunzioni dirette, dovevano rivolgersi a tale ufficio per reclutare personale; a marzo l’ufficio di collocamento per operai disoccupati entrò in funzione anche a Crocemosso (la sua giurisdizione si estendeva su una trentina circa di comuni del Biellese orientale, da Trivero a Sostegno, da Crevacuore a Coggiola, fino a Callabiana e Camandona).

 

Con il trascorrere delle settimane, le difficoltà legate alla congiuntura economica negativa occuparono uno spazio sempre maggiore sulla prima pagina de "Il Popolo Biellese": il giornale fascista dava comunque una lettura ottimistica della situazione, invitava ad evitare inutili catastrofismi e operava spesso confronti con gli altri paesi, sottolineando come le condizioni economiche dell’Italia fossero simili a (e sotto certi aspetti migliori di) quelle di Stati Uniti, Germania e Inghilterra.

 

Il governo di Mussolini fu comunque costretto ad adottare nuovi provvedimenti per ridurre il debito pubblico dello stato: aumento del prezzo dei tabacchi, ripristino della tassa di successione per le famiglie con un solo figlio, riduzione delle aliquote per l’imposta sul vino.

 

La diminuzione del potere di acquisto dei consumatori è testimoniata anche dal calo dei prezzi dei generi alimentari: alla fine di aprile il latte intero era passato da 1,30 a 1,20 Lire al litro, il caffè Santos superiore crudo da 25,20 a 25 Lire al kg., il burro naturale di pura panna da 18,10 a 17,50 Lire al kg. 


Una settimana dopo i prezzi erano ulteriormente calati: il latte costava 0,90 Lire al litro, il caffè Santos 24 Lire al kg, il burro 16,50 Lire al kg; intorno alla metà di ottobre il pane passò da 2,20 a 2,10 Lire al kg.

 


In mezzo al grigiore delle notizie sulle preoccupanti condizioni economiche del paese spicca il resoconto, pubblicato su "il Biellese", della «riuscitissima serata data dalla Società Operaia Biellese di Mutuo Soccorso al Central Opera House» di New York: pare infatti che i nostri conterranei emigrati in America, lasciandosi per una sera alle spalle le preoccupazioni legate alla crisi, avessero organizzato una splendida occasione d’incontro caratterizzata da «cordialità, umorismo e spirito».

 


Nel corso dell’estate su "Il Popolo Biellese" si susseguirono i richiami a non trascurare la serietà del momento e contemporaneamente a non assumere atteggiamenti disfattisti: "La crisi e i piagnoni" (30 giugno), "Vita di raccoglimento" (3 luglio), "Equilibrio nelle spese" (18 agosto), "Per la battaglia economica" (4 settembre), "Per la tutela del risparmio" (15 settembre).

 

La crisi non arrestò comunque i progetti legati alle opere pubbliche: alla fine di giugno il Ministero delle Comunicazioni approvò il progetto di costruzione del nuovo Palazzo delle Poste e dei Telegrafi, destinato a sorgere in via Pietro Micca sul terreno dell’ex-Seminario; si discuteva anche della costruzione di una nuova sede per la biblioteca civica e il museo cittadino, mentre risalivano alla fine del 1929 le prime ipotesi di ingrandire l’ospedale.

 


Con l’arrivo dell’autunno si fece più diffusa nel paese la consapevolezza del grave momento attraversato dall’Italia: lo stesso Mussolini, in un discorso le cui parti più salienti furono riportate dai due giornali biellesi, affermò che «la crisi [aveva] toccato il suo acme» e che, malgrado stessimo «già lasciandoci la notte alle spalle e [camminassimo] verso l’aurora», erano da mettere in conto almeno altri due o tre anni di ristrettezze (a onor del vero non si sbagliò: la ripresa sarebbe iniziata solo nel 1934).

 

Il regime adottò quindi altri provvedimenti, tra cui anche il ritocco verso il basso degli stipendi dei dipendenti statali, per adeguare i prezzi al valore della lira.

 


Nel Biellese le autorità locali approntarono un programma di sostegno ai disoccupati basato sulla concessione di buoni per ricevere viveri o altri oggetti di uso indispensabile, sull’apertura di cucine economiche per la distribuzione di pane e minestra (sul modello delle "Cucine del Littorio" approntate a Vercelli nella seconda metà di ottobre) e sull’invito a partecipare all’opera di assistenza rivolto alle associazioni, agli enti pubblici e privati, ai cittadini: prima a rispondere all’appello fu la Cassa di risparmio, che donò la non indifferente somma di 100.000 Lire.

 

Su "il Biellese" del 25 novembre si preannunciò la convocazione di una «adunata di Signore, alle quali verrà affidata la delicata mansione di dare pratica vita a queste assistenze. La gentilezza, il tatto squisito, il cuore delle Donne biellesi sono la promessa più bella che le provvidenze escogitate avranno la migliore delle attuazioni e raggiungeranno il massimo di efficacia, aggiungendo Esse le più belle note di bontà e la più dolce aureola alle provvide deliberazioni».

 

Il giornale cattolico si fece portavoce anche della richiesta di riduzione delle tariffe del gas (che era più alta di quella applicata a Torino) e della luce elettrica, e soprattutto del ribasso dell’affitto degli immobili privati (quello degli immobili di proprietà del comune era già stato ridotto del 10%). 


Su questo punto pare che i proprietari biellesi opponessero una notevole resistenza: se il 2 dicembre si parlava di «inutile resistenza dei proprietari di case», dando per scontato che, malgrado le richieste dei locatori di operare distinzioni tra case nuove e vecchie, palazzine e ville, l’obiettivo sarebbe stato raggiunto, il 5 dicembre si era già passati ad un «perentorio invito ai proprietari» e il 10 si riaffermava la necessità che tutti gli affitti diminuissero del 10%.


Il 12 dicembre "il Biellese" denunciava «l’inconcepibile resistenza dei proprietari di case» e scriveva: «La campagna al ribasso, per quanto riguarda la nostra città, segna una stasi nella questione degli affitti che nelle altre città ha avuto oramai l’adesione della grande maggioranza dei proprietari di case. A Biella, sinora, nemmeno le parole più chiare ed esplicite sono servite a smuovere la massa dei proprietari e se si eccettua una piccola minoranza, gli altri fanno tutti orecchie da mercante. Pare a noi che il delegato biellese della Associazione Fascista della Proprietà Edilizia non abbia sinora svolto la sua azione con quell’energia che pure è necessaria […] è assurdo pensare che Biella possa formare un’eccezione alla regola oramai patriotticamente accettata da tutte le altre città». 


Sembra comunque che tale appello non avesse sortito l’effetto desiderato: ancora il 23 dicembre un «ultimo avviso» rivolto ai proprietari dalle autorità preposte al controllo minacciava di considerare renitenti coloro che non si fossero adeguati.

 


Il 1930 si chiuse con una serie di riduzioni, comprese tra il 10 e il 15%, applicate a tutte le categorie commerciali: dagli alimentari ai medicinali, dal servizio taxi alle tariffe alberghiere, dai ristoranti ai parrucchieri.


Anche "il Biellese" segnalò la diminuzione del costo del suo abbonamento.

 

Altri tre anni difficili dovevano trascorrere prima che l’economia italiana presentasse i primi segni di ripresa.

 

 

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FONTI

 

  • De Rosa Luigi, La crisi economica del 1929, Le Monnier, Firenze 1979
  • Gamaccio Teresio, L’industria laniera fra espansionismo e grande crisi: imprenditori, sindacato fascista e operai nel Biellese (1926-1933), Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Vercelli "Cino Moscatelli", Vercelli 1990
  • Il Popolo Biellese, bisettimanale del Fascio di Biella
  • il Biellese, bisettimanale cattolico