IL P.C.I. BIELLESE E LA RIVOLUZIONE UNGHERESE

 

Di fronte alla sanguinosa repressione messa in atto dall’esercito russo in Ungheria, il Partito comunista italiano, per bocca del segretario Palmiro Togliatti (che documenti di recente pubblicazione indicano come uno dei fautori dell’intervento sovietico) assunse una posizione di sostanziale adesione alla versione ufficiale diffusa da Mosca.

 

Non mancarono comunque le voci critiche, da parte soprattutto di intellettuali militanti nel campo della sinistra; e anche tra la base il sentimento dominante fu lo sconcerto.

 

Il Partito socialista dichiarò la propria contrarietà all’uso della forza, smarcandosi così dall’alleanza con il Partito comunista.

 

 

Nel Biellese gli avvenimenti d’Ungheria entrarono prepotentemente nel dibattito politico locale.

 

Sulle pagine di "Eco di Biella" e "il Biellese" si moltiplicarono gli interventi tesi a sottolineare il carattere antidemocratico e autoritario del comunismo e a insistere sulle divisioni esistenti nel campo progressista.

 

 

La risposta comunista fu affidata a "Baita", l’organo di stampa della federazione biellese.

 

Il 5 novembre il settimanale diretto da Elvo Tempia pubblicò un comunicato che riprendeva sostanzialmente la versione ufficiale diffusa dai sovietici, ponendo l’accento sui «massacri dei controrivoluzionari di pacifici cittadini di nulla colpevoli se non di rimanere fedeli al socialismo» e sulla richiesta di intervento avanzata dal governo di Kadar alle truppe sovietiche per «aiutare a ristabilire la legalità».

 

Qualche giorno dopo il giornale comunista denunciò «speculazioni sul dramma d’Ungheria», invitando a diffidare «di certe iniziative che vedono associati preti, padroni "socialisti" e fascisti» (12.11.1956).

 

 

Severe critiche furono poi espresse sulla raccolta fondi promossa dalle varie associazioni di categoria, dai sindacati e dall’Unione Industriale: «La sottoscrizione per i profughi d’Ungheria – scrisse Nello Pomaha fornito il pretesto per la più smaccata crociata anticomunista che mai si sia avuta dal ’45 ad oggi. Nelle vie del centro di Biella, pavesate di bandiere distribuite dall’Amministrazione clericale e fatte affiggere dallo stesso personale del Comune, pareva si fosse tornati ai tempi della raccolta della lana, degli oggetti di rame per la guerra fascista».

 

Ironici furono poi i commenti all’iniziativa umanitaria concretizzatasi nella spedizione in Austria, i cui partecipanti furono apostrofati come «eroi donchisciotteschi biellesi ai pericolosi confini d’Ungheria» (17.12.1956).

 

 

Il P.C.I. biellese riuscì a superare senza conseguenze di rilievo la crisi seguita ai fatti d’Ungheria.

 

Ci furono tuttavia alcune defezioni: la più significativa fu quella del consigliere provinciale dottor Carlo Savino, il quale, secondo un rapporto informativo dei Carabinieri di Vercelli al prefetto, era «nauseato dalla inumana repressione russa in Ungheria»; nello stesso rapporto si faceva inoltre cenno ad un possibile «franamento di rilievo nel partito in quanto alcuni esponenti e parecchi iscritti [pareva stessero] per dare le loro dimissioni».

 

Ciò non avvenne, ma la delicatezza della situazione fu confermata dall’invio nel Biellese, «per tamponare le falle», di Guido Sola Titetto, ex segretario della locale federazione e membro della direzione nazionale del P.C.I.

 

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