L’idea di affidare ad un corpo specializzato la prevenzione e la difesa dagli incendi affonda le sue radici nella Roma imperiale: fu infatti Augusto ad istituire un corpo di vigili del fuoco (strutturato su sette coorti di 500-1000 uomini) con il compito di proteggere dalle fiamme i quattordici quartieri in cui era stata suddivisa la città.
La dissoluzione delle strutture preposte alla difesa civile, seguita al crollo del Sacro Romano Impero, indusse gli abitanti delle città a farsene carico attraverso iniziative spontanee che portarono alla costituzione di "associazioni di mutua guarentigia" denominate "gilde" o "giure".
Nel 1416 la città di Firenze organizzò un regolare servizio antincendio denominato "Guardia del fuoco"; meno di trent’anni dopo anche Torino si mosse nella medesima direzione.
L’evoluzione tecnologica che attraversò l’Europa a partire dalla fine del Seicento e per tutto il secolo successivo, introdusse nuovi strumenti nella lotta al fuoco (ad esempio le "trombe idrauliche", evoluzione degli "spruzzatoj").
Nel 1786 Vittorio Amedeo III di Savoia emanò un Regio Regolamento concernente le modalità d’intervento in caso di incendio; intorno alla metà degli anni Venti dell’Ottocento un altro re sabaudo, Carlo Felice, sollecitò i comuni del suo regno a istituire il Corpo delle guardie del fuoco, preposto all’utilizzo delle "trombe da incendio".
Parrebbe ricollegarsi a quel provvedimento l’iniziativa del Comune di Biella volta a dotare la città di un servizio antincendio cittadino: «Il 6 giugno 1826 il sindaco Gio.Batta Gromo espose al consiglio comunale il sollecito del sotto-intendente Marandono che verteva sulla necessità non più rimandabile di dotare la città di una “tromba à fuoco”» (Danilo Craveia).
Dopo aver acquistato per la somma di Lire 1.000 due "pompe-corriere" (capaci «di gettare dalla lancia una brenta circa d’acqua per minuto»), consigliate dall’ing. Pietro Lana, comandante delle "Guardie Fuoco" di Torino nonché instancabile innovatore nel campo dell’equipaggiamento e delle attrezzature antincendio, il Comune decise di appaltare il servizio a un soggetto privato (nel periodo compreso tra la fine degli anni Venti e la fine degli anni Sessanta dell’Ottocento, alla guida del corpo antincendio del Comune di Biella si succedettero Luigi Gariazzo, Lorenzo Masserano e Domenico Blotto).
La perdurante indifferenza del Comune nei confronti del servizio antincendio, considerato «soltanto come un costo annuo di convenzione e, di fatto, un problema tecnico altrui», influì negativamente sulla capacità di intervento dei pompieri biellesi, frequentemente bersagliati per la propria inefficienza dalla stampa cittadina.
Il memoriale con cui il cav. Luigi Marandono proponeva nel 1867 l’istituzione di una Compagnia di Guardie a fuoco strutturata sul modello militare e affidata a «un capo intelligente il quale abbia responsabilità di tutto il materiale, della Disciplina, e sul luogo dell’incendio abbia la direzione di ogni operazione», spinse il consiglio comunale a deliberare alcuni interventi migliorativi: acquisto di una nuova pompa, rafforzamento dell’organico (dai 7 addetti iniziali si passò a 14, poi a 16), presentazione di un regolamento elaborato attraverso il confronto con altre realtà comunali del Nord Italia, emissione di un bando di arruolamento.
Il 15 aprile 1874 gli uomini della Compagnia prestarono giuramento: «I vigili – ricordò circa ottant’anni dopo e con un pizzico di ironia la "Rivista Biellese" (anno VII, n.1, gennaio/febbraio 1953) – erano dei volontari che accorrevano e si riunivano al suono della campana del Duomo che, per gli incendi, suonava a martello. Prelevavano attrezzi e mezzi d’estinzione molto primitivi e si portavano poi alla… sede dell’incendio, se questi era tuttora in vita».
Ai depositi mezzi del Piazzo e del quartiere di Sant’Antonio (adiacente alle scuole "Bona") andò ad aggiungersi quello di via Arnulfo, divenuto in seguito una vera e propria caserma destinata ad ospitare i pompieri di Biella fino all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso.
Sul finire dell’Ottocento, quando si riteneva che «superate le difficoltà iniziali la civica compagnia si fosse ormai solidamente istituzionalizzata, adeguatamente strutturata e, malgrado il livello tecnico piuttosto modesto, definitivamente coordinata» (D. Craveia), il sindaco di Biella Domenico Vallino paventò il suo scioglimento per motivi economici, «avendo la Cassazione Suprema di Roma pronunciata sentenza con la quale i Comuni non hanno diritto al rimborso delle spese per servizio d’estinzione incendi da parte dei cittadini danneggiati».
L’appello a contribuire alle spese di mantenimento del servizio, rivolto alle compagnie assicurative, come prevedibile cadde nel vuoto; e così nel primo decennio del Novecento i pompieri di Biella, sfiduciati anche dalla scarsa consistenza delle paghe, si trovarono nuovamente ad operare con mezzi inadeguati.
Un aneddoto narrato da "Rivista Biellese" sul numero di gennaio/febbraio 1953 esemplifica efficacemente la condizione di precarietà e inefficienza del servizio pompieristico di Biella di fine Ottocento: «Un incendio scoppiato fuori dal Vernato sul finire del 1876 fu spento dai cittadini e dai soldati di un distaccamento accantonato nell’ex convento di Sant’Antonio. I pompieri arrivarono a cose finite. Allora la stampa cittadina insorse e reclamò una migliore organizzazione […]».
La svolta avvenne a partire dal 1913, quando l’ingegnere Luigi Fettarappa, direttore dell’Ufficio Tecnico comunale, assunse la guida della Compagnia pompieri: «In generale la visione del Fettarappa riguardo alla gestione del servizio pompieristico fu ben poco politica e, fortunatamente, molto tecnica: il problema incendi venne contestualizzato e finalmente rapportato con l’industrializzazione del territorio e della città in particolare. […] il direttore individuò, almeno sulla carta, quale fosse il vero posto ed il necessario volume del servizio comunale di spegnimento forzando la mano agli amministratori perché ne prendessero atto e non deludessero ancora le aspettative della gente e, soprattutto, quelle dell’imprenditoria tessile che non poteva dirsi adeguatamente difesa dal rischio fuoco» (D. Craveia).
Il dinamico direttore dovette comunque attendere fino al 1926 prima di poter mettere realmente mano alla riorganizzazione del Corpo: nel febbraio di quell’anno il Commissario straordinario Fronteri, al quale Fettarappa aveva sottoposto una relazione «illustrante la necessità del riordinamento del servizio dei Civici Pompieri», ritenendo che «la formazione organica attuale, sia per numero, sia per qualità del personale non corrisponde più all’importanza che ovunque si attribuisce all’opera di prevenzione e di spegnimento degli incendi e che gli esperimenti fatti coll’assunzione in prova di nuovo giovane personale, opportunamente addestrato, istruito e munito di materiale moderno, disciplinato con norme rigorose […], hanno dato prova che si potrebbe ottenere un servizio quale la città esige», deliberò l’approvazione di un nuovo regolamento e della spesa fissa annua di Lire 40.000 per gli assegni al personale, riservandosi di valutare volta per volta le spese per le attrezzature (per le quali fissò il limite di Lire 175.000).
Nel 1928 il numero degli effettivi del Corpo Pompieri di Biella era già salito a 28, avvicinandosi a quella quota 32 prevista dal regolamento.
Fu così istituito un nucleo di pronto intervento attivo 24 ore su 24 e si provvide anche al miglioramento delle attrezzature attraverso l’acquisto di mezzi più moderni e funzionali; Fettarappa dispose inoltre che durante i turni di servizio i vigili del fuoco si rendessero disponibili anche per incarichi di vario genere presso gli Uffici comunali, fungendo così da «ambulanzieri, lettighieri, scorta nei trasferimenti di detenuti, accalappia matti, stagnini, manutentori edili di edifici pubblici e, dietro compenso, anche di stabili privati» (D.Craveia).
Nel 1935 il governo fascista decretò l’istituzione del Corpo nazionale dei pompieri, dipendente dal Ministero dell’Interno e strutturato su base provinciale, sancendo di fatto la fine dell’autonomia di cui le compagnie locali avevano goduto fino a quel momento.
Inquadrati nel 90° Corpo pompieri di Vercelli (la città era assurta al rango di capoluogo di provincia nel 1927), i pompieri biellesi divennero un semplice distaccamento: «In realtà le cose cambiarono poco per Biella – ha concluso Danilo Craveia – dove si continuò a gestire l’emergenza incendi con le prerogative del "nuovo corso" avviato dall’ingegner Fettarappa».
Le fotografie provengono dall'archivio Cesare Valerio, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
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