SEI ARTISTI BIELLESI PER DECORARLA

 

Introducendo la parte del suo libretto dedicata ai particolari della costruzione della chiesa di San Francesco, la professoressa Maroino si preoccupò di sottolineare che tutti gli artisti coinvolti nell’opera di realizzazione (a cominciare dall’ideatore del progetto, il geometra Giuseppe Mortarini) erano stati, «secondo la precisa volontà del committente [Ettore Barberis] scelti oriundi biellesi o biellesi di adozione»: indichiamo di seguito i loro nomi e i lavori da essi eseguiti.

 

 

Al pittore Guido Mosca fu commissionata la pala d’altare, che arrivò ad occupare la notevole superficie di 50 metri quadrati e fu dedicata a temi sacri come la Carità, la Maternità, il Santo (San Francesco) e il Cristo crocefisso tra gli angeli: «[…] superando difficoltà tecniche non comuni – scrisse "il Biellese" (30/10/1956) – il pittore biellese ha realizzato un’opera di eccezionale impegno, particolarmente felice nelle scene della carità e di S. Francesco tra i Santi»; più che lusinghiero fu anche il giudizio espresso dalla Maroino, la quale definì l’opera di Guido Mosca la «più importante della Nuova Chiesa dell’Ospedale di Biella».

 

 

Di fattura semplice e tuttavia molto espressivo era il Crocifisso collocato sull’Altarmaggiore, opera dello scultore Carmelo Cappello; per la sua descrizione ci affidiamo ancora alle parole della professoressa Maroino: «È il Cristo del Cappello stilizzato in tale purezza espressiva che io oserei dire che un vero afflato mistico si sprigiona da quel corpo che racchiude in sé la sofferenza del Figlio di Dio in terra e la soprannaturale vita del Cristo che ci ha redenti».

 

 

Le quattordici formelle della Via Crucis erano invece il frutto della creatività di un altro importante protagonista della vita culturale e artistica biellese di quegli anni, il ceramista e pittore Pippo Pozzi: con un laborioso processo di lavorazione (che prevedeva la scultura a crudo della ceramica e una prima cottura, a cui ne facevano seguito altre per imprimere i colori, gli ori e le patine) il ceramista di scuola alessandrina riuscì a modellare più di duecento forme raffiguranti protagonisti e comprimari della Passione di Cristo.

 

 

Allo scultore Giovanni Cantono, originario di Ronco Biellese, fu affidato il compito di riprodurre l’effigie del donatore del tempio, il conte Ettore Barberis, in un medaglione di bronzo che per volontà dell’Amministrazione dell’Ospedale fu poi murato all’interno della chiesa; opera del Cantono fu anche la statua raffigurante San Giovanni Battista posta sul coperchio della fonte battesimale, di piccole dimensioni (circa 50cm) e pur tuttavia di grande potenza espressiva: «[…] quanto forte è la sua voce che chiama al battesimo, le sue lunghe braccia come la sua lunghissima croce si devono vedere da lontano; egli vuole che tutti si avvicinino alla primiera salvezza» (M. Maroino).

 

 

A proposito della fonte battesimale, ricordiamo che la vasca a due comparti era stata realizzata utilizzando marmo rosso di Verona, mentre per il coperchio erano state impiegate due mezzelune di lamiera di ferro cesellato e colato in argento: su ciascuna di esse Mario Taragni, detto "Barba" (valsesiano di nascita, biellese d’adozione) maestro nella lavorazione del ferro battuto, aveva cesellato sette fiumi e sette pecorelle dorate, aggiungendovi poi anche due colombe.

 

Altre opere realizzate da "Barba" attraverso l’impiego di ferro battuto cesellato e colato in argento erano il porta messale, il cui fregio frontale «che deve reggere il messale è costituito da due leoni […] rampanti verso la croce del centro» (M. Maroino), i lampadari, le acquasantiere, le lampade votive, il cancello della balaustra recante lo stemma gentilizio della famiglia Barberis, il cancello della fonte battesimale e quattordici monumentali candelieri adornati di pietre preziose.

 

 

Frutto dell’ingegno dello scultore Sergio Vatteroni, il quale si differenziava dagli altri membri del gruppo per la sua origine non biellese (proveniva infatti da Carrara), era infine la porticina del Tabernacolo, in argento sbalzato e contornata di pietre dure, sulla quale erano raffigurati due angeli che sostengono il calice da cui si irradia l’ostia.

 

 

Di pregevole fattura erano anche le suppellettili liturgiche: l’ostensorio, la pisside, il calice e la patena.

 

Il paramentale in stile gotico era stato realizzato impiegando raso bianco «appositamente tessuto a Como, severo nelle rosse striscie ornate di gigli e di croci ricamate con tale varietà di punti e di ori da sembrare quasi uno sbalzo in metallo» (M. Maroino), mentre per ornare le tovaglie da altare e da balaustra si era fatto ricorso ai pizzi di Bruges.

 

 

Meritevole di menzione l’organo costruito appositamente dal maestro Giuseppe Marzi di San Maurizio d’Opaglio (Novara) e collocato all’altezza della porta d’ingresso, «le cui canne brillavano nuovissime e silenziose nell’atmosfera mistica» ("Eco di Biella", 03/09/1956).