RICORDARE LA GRANDE GUERRA CINQUANT'ANNI DOPO (1965)

(Articolo pubblicato su La Nuova Provincia di Biella del 23.05.2015)

 

Alle 15 e 30 di domenica 23 maggio 1915 il duca d’Avarna, ambasciatore italiano a Vienna, consegnò al ministro degli esteri austriaco barone Buriàn la dichiarazione che annunciava lo stato di guerra tra i due paesi a partire dalla mezzanotte del 24 maggio.

 

L’Italia faceva così il suo ingresso nel Primo conflitto mondiale: la guerra, illusoriamente ritenuta una questione di breve durata, si sarebbe in realtà conclusa solo tre anni e mezzo dopo, con un immane carico di lutti e di distruzione.

 

 

Il "maggio radioso" del 1915 – che vide contrapporsi in Parlamento e nelle piazze italiane i fautori dell’intervento e i sostenitori della neutralità – fu vissuto con partecipazione anche nel Biellese.

 

Alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, Biella contava circa 23.000 abitanti ed era in pieno sviluppo (il censimento industriale effettuato quattro anni prima aveva rilevato la presenza in città di 208 imprese).

 

Ben sei erano i giornali locali, sulle cui pagine trovava espressione il fermento politico e culturale che animava la società biellese: "Gazzetta di Biella", "Il Nuovo Giornale", "La Tribuna Biellese", "Risveglio" (rispettivamente di ispirazione liberale, radicale, legati all’industria e al grande commercio), il socialista "Corriere Biellese" e il cattolico "il Biellese".

 

E fu proprio attraverso le pagine dei giornali che le diverse fazioni palesarono le proprie convinzioni: «È angosciosa e irta di pericoli – scriveva "La Tribuna Biellese" sul numero del 16 maggio – l’ora che il popolo italiano passa. L’Italia si era preparata virilmente alla guerra: la realizzazione del bel sogno di Dante dell’Italia libera […] stava per compiersi, appoggiata dal valore del nostro esercito in pieno armamento. […] da un momento all’altro poteva scoppiare la scintilla provocatrice del conflitto […]. Ed è male che non sia scoppiata: non sarebbe avvenuta l’attuale gazzarra con alternative di osanna e di abbasso che fa arrossire chiunque si senta italiano, a qualsivoglia partito appartenga. […] Lasciamo dunque a parte le esagerazioni e le imprecazioni; […]. Noi non dobbiamo pensare solo all’oggi ma anche al domani, ed il domani, per la nostra vita politica, e per la nostra esistenza nazionale è l’indebolimento della Austria»; una settimana dopo, quando la guerra appariva ormai certa, il giornale di ispirazione liberale rivolse un accorato e particolare appello agli studenti: «[…] ora tocca a voi: tutti i vostri fratelli di tutti gli Atenei, di tutti gli Istituti d’Italia si sono inscritti, legione volontaria di petti generosi e impavidi, all’esercito che marcerà contro il secolare nemico d’Italia»; e alle donne: «Animo dunque, o Donne biellesi: signore e popolane, insegnanti ed operaie, commercianti e professioniste; uniamoci tutte nella nobilissima gara di essere l’una più coraggiosa della altra: se i mariti, se i fratelli, i congiunti sono chiamati o si offrono volontari, non scoraggiamoli con lo spettacolo poco edificante delle nostre lagrime […] ma, piangendo nel nostro cuore o non vedute, sorridiamo loro e aiutiamoli amorevolmente sì, ma fermamente, all’adempimento di un dovere già per se stesso grave e doloroso».

 

Di segno nettamente opposto fu il commento del "Corriere Biellese", organo del Partito socialista, sul numero del 21 maggio: «Ruit hora! Il partito della guerra ha vinto e la guerra sarà. […] La nuova epopea che si dovrebbe iniziare oggi colla grande guerra per l’integrazione della nazionalità italiana è invece tutta un artificio, una truffa, i cui esponenti sono figure di pigmei di fronte agli uomini che illustrarono la vera epopea dell’indipendenza italiana. L’inganno è stato teso all’opinione pubblica ed agli alti poteri dello Stato. […] Diciamolo ancora, finchè il bavaglio non sarà completo, che la guerra attuale trova irriducibilmente contrari nella loro grande maggioranza il Paese e il Parlamento. La guerra si farà perché queste due maggioranze sono state violentemente represse. […] Ruit hora! Ancora poche ore di pace e di libertà. Poi la parola sarà alla spada e noi dovremo tacere».

 

E infine "il Biellese", anch’esso sostenitore delle posizioni neutraliste, che di fronte alla decisione del Parlamento di votare i pieni poteri al governo presieduto da Salandra, scrisse: «Alea jacta est! Oggi a noi non resta, oggi è nostro dovere accettare i fatti compiuti. La guerra, da noi deprecata fino all’ultimo, venne ormai virtualmente dichiarata. La responsabilità del giudizio circa la sua necessità ineluttabile, e della deliberazione di farla, non è nostra. Noi accettiamo gli ineluttabili fatti compiuti. E da questo momento un solo pensiero noi avremo: cooperare con tutte le forze perché la guerra di domani sia coronata dalla vittoria, dalla vittoria piena, redentrice di tutte le terre italiane, appagatrice di tutte le aspirazioni italiane, cosicchè l’Italia possa poi, cessati i contrasti vitali, in una tranquilla e serena pace, amica di tutti i popoli, cominciar un’era nuova di civiltà» ("il Biellese", 21.05.1915).

 

Il giornale cattolico non poteva certo immaginare che la guerra sarebbe stata lunga, avrebbe richiesto al Biellese un cospicuo tributo di sangue (più di tremila morti) e che le sue conseguenze avrebbero portato all’instaurazione di un regime autoritario e allo scoppio di un nuovo, devastante conflitto.

 

 

Nel maggio del 1965 si tennero le solenni celebrazioni del cinquantesimo anniversario dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra.

 

Per l’occasione l’amministrazione comunale, presieduta dal sindaco di fresca nomina Franco Borri Brunetto, decise di provvedere alla risistemazione della facciata del Municipio – attraverso il rifacimento del portone d’ingresso, il rivestimento di tutta la parete con marmo "bronzetto", lo spostamento delle bacheche per gli atti ufficiali del Comune e una nuova sistemazione dell’illuminazione – e alla realizzazione di un Sacrario ai Caduti, affiancando a quelle preesistenti due nuove lapidi con bassorilievi in bronzo dedicate ai Caduti del Secondo conflitto mondiale e della Lotta di Liberazione.

 

 

La cerimonia, che ebbe luogo lunedì 24 maggio 1965, si aprì con la celebrazione della Messa al campo nella piazzetta di fronte al Battistero, dov’era stato eretto un palco per l’altare; ad officiare la sacra funzione fu mons. Giuseppe Colombo, cappellano militare oriundo biellese, sotto lo sguardo attento del vescovo di Biella mons. Carlo Rossi.

 

Tra il pubblico che gremiva la piazza spiccavano il sindaco Borri Brunetto con i rappresentanti dell’amministrazione e del consiglio comunale, le autorità militari, le rappresentanze delle varie associazioni combattentistiche e d’Arma, i presidi delle scuole cittadine, l’Ispettore scolastico insieme ai tre direttori didattici (pur non essendo giorno di festa nazionale, fu consentito che alla cerimonia partecipassero anche le rappresentanze studentesche dei diversi istituti di Biella) e ovviamente i reduci della Grande Guerra: «Numerosi i veterani di quella guerra, con le medaglie ed i nastrini e i distintivi d’onore dei mutilati, testimonianze sacre del dovere compiuto, del valore e del sacrificio. Volti noti, volti leali, cari con i segni dell’età che si rivedevano riuniti in comune intento chissà dopo quanto tempo, in un’occasione veramente unica per riandare con la mente alle vicende della lontana giovinezza or è mezzo secolo» ("Eco di Biella", 27.05.1965).

 

Il picchetto d’onore era formato da due plotoni armati di Alpini del 4° Reggimento e di Cavalleggeri di Lodi (questi ultimi recavano con sé una corona di alloro omaggio del Comando della Legione Nord-Ovest).

 

Al termine della Messa ebbe luogo l’inaugurazione del Sacrario ai Caduti: alla benedizione impartita dal vescovo Rossi fece seguito un breve discorso del sindaco Borri Brunetto.

 

Si formò poi il corteo che, aperto dalla Banda Verdi, si dipanò lungo via Italia fino a raggiungere il monumento ai Caduti dei Giardini Pubblici, di fronte al quale furono deposte le corone d’alloro offerte dal Comune, dal Prefetto e dal Comando Militare: spettò quindi all’avvocato Beppe Mongilardi (il quale nel 1915 rivestiva l’incarico di presidente del Sottocomitato studentesco biellese della società "Dante Alighieri") pronunciare l’orazione ufficiale, nella quale rievocò quei convulsi giorni di maggio, con le aspettative, le illusioni, le preoccupazioni che animarono milioni di italiani, e sottolineò l’immane costo in termini di vite umane che la guerra aveva richiesto; rifiutando una deteriore interpretazione nazionalista, Mongilardi concluse il suo intervento rivalutando «l’idealità della Patria [che] non è ancor morta e forse non morrà mai, poiché è tutt’una col fatto naturale dell’essere nati nello stesso luogo, del parlare la stessa lingua, del venerare le stesse memorie» ("24 maggio").

 

Nel pomeriggio la Banda Verdi si esibì in concerto, «suonando gli inni patriottici e i più popolari motivi delle canzoni sgorgate dal sentimento dei combattenti» ("Eco di Biella", 27.05.1965).

 

 

Galleria Fotografica

Le fotografie provengono dall'archivio Lino Cremon, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella

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FONTI

 

  • Pieropan Gianni, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano 1915-1918, Ugo Mursia Editore, Milano 1988
  • I cittadini scrivono..., in Biella: rassegna mensile del Comune e bollettino statistico, anno III, n. 1, gennaio 1965
  • 24 maggio, in Biella: rassegna mensile del Comune e bollettino statistico, anno III, n. 5, maggio 1965
  • Corriere Biellese, periodico socialista
  • il Biellese, bisettimanale cattolico
  • La Tribuna Biellese, giornale della città e del Circondario di Biella
  • Eco di Biella, bisettimanale indipendente